Il bambino è fatto di cento.
il bambino ha cento lingue, cento mani, cento pensieri, cento modi di pensare, di giocare e di parlare,
cento sempre cento modi di ascoltare, di stupire, di amare
cento allegrie per cantare e capire
cento mondi da inventare
cento mondi da sognare.
il bambino ha cento lingue (e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
La mia esperienza con i cento bambini delle scuole elementari di Ponsacco, sta risvegliando in me quel bambino, che secondo il pensiero del famoso pedagogista Loris Malaguzzi, chiede di non separare la testa dal corpo e (aggiungo) dal cuore.
Il linguaggio del corpo usa le mani per afferrare, le braccia per colpire, le gambe per seguire una direzione e segue un sentire che si esprime a volte con un colore, un pensiero, un disegno o semplicemente attraverso un movimento.
Il bambino si stupisce quando salta, quando cade e si rialza, quando sente il cuore pulsare dopo una corsa.
La sua spontaneità, non ha bisogno di parole. Tra il dire e il fare non c'è il mare, ci sono infinite possibilità motorie.
Osservo la sua capacità di ridere e giocare, di trasformare in gratitudine e gioia una conquista.
A volte si aprono finestre. Altre volte si sbattono le porte.
In quei momenti di rumore, il bambino si comporta come i grandi, chiude i suoi petali e si ritira, come fa un fiore quando il cielo diventa buio.
In quei momenti esprime la sua rabbia con un calcio e rivela così la sua fragilità, nascondendola con una maschera di aggressività.
In quei momenti dice NO voltando le spalle alle opportunità e disprezza con un rifiuto ciò che c’è.
In quei momenti il mio bambino interiore non sa essere docile o arrendevole, non sa farsi guidare dalla comprensione e anche lui a volte alza la voce.
Come percepire, come sentire, quale strategia usare per entrare, per accogliere e comprendere, per trasformare un urlo in un suono, un gesto in un atto creativo?
Lo sto scoprendo giorno per giorno nella pratica, tra i banchi di scuola della prima elementare, per educare in primis me stessa ad un esercizio di responsabilità, un percorso di apprendimento continuo.
Percepisco tra bambini un bisogno di amicizia allargata, con il desiderio di incontrare amici e condividere insieme una ritualità attraverso delle pratiche corporee che possano comunicare messaggi con un stile educativo.
Tenendo di conto che in modi diversi, spesso i bambini esprimono i loro traumi, mi sto allenando a comprendere quali bisogni rivelano le caratteristiche di ciascuno.
Se crescono in ambienti con stimoli che deformano, si inibiscono le infinite possibilità che abitano in ciascuno di loro. A secondo della provenienza, la varietà comprende bambini con un handicap, chi non conosce la lingua o chi é straniero, chi necessita di un logopedista per meglio apprendere. I bambini nella loro originalità, usano forme di comunicazione che mi sorprendono e in qualche modo ne divento complice.
Come rispondere con resilienza a chi nella tua classe ti viene addosso e ti urta con violenza?
p.s.
Esprimo la mia gratitudine a Marshall Rosenberg per avermi offerto uno spunto di riflessione con tre parole-chiave: responsabilità, ritualità, resilienza.